Mafia nigeriana, 32 arresti in Italia e Europa. Il quartier generale era a Bari

Trentadue arresti tra Italia ed Europa tra la Mafia nigeriana. Cinquanta, invece, le persone indagate: le accuse, a vario titolo, sono di sfruttamento della prostituzione e violenza sessuale, tratta, lesioni, riduzione in schiavitù, associazione a delinquere, rapina ed estorsione.

Decine anche le perquisizioni effettuate dalla Direzione Distrettuale anti mafia della procura di Bari in diverse regioni italiane. Puglia, Sicilia, Calabria, Lazio, Campagna, Marche, Abruzzo, Veneto ed Emilia Romagna. Un racket che sta prendendo il controllo di tutto lo Stivale e sembra non arrestarsi.

L’ operazione è stata condotta dai poliziotti della Squadra Mobile di Bari in collaborazione con gli omologhi uffici investigativi provinciali ed il coordinamento del Servizio centrale operativo. Fondamentale il supporto della Divisione Interpol del Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia.

L’attenzione è puntata su due clan nigeriani operanti nel barese, due distinte associazioni a delinquere di stampo mafioso. La base operativa aveva come sede il Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo di Bari, dove il pastore della comunità religiosa ha scoperto l’esistenza di gang che operavano all’interno.

Le “3D”: donne, denaro e droga, questo era il sistema operativo dei clan. Un meccanismo costruito nei dettagli che prevedeva lo sfruttamento della prostituzione come fonte di guadagno da reinvestire nel traffico di stupefacenti.

Le gang identificate rappresentavano due cellule autonome di fratellanze internazionali dal nome “Supreme Vikings Confraternity – Arobaga” e “Supreme Eiye Confraternity”.

Sono diciassette le donne rese schiave e costrette a prostituirsi, alcune delle quali hanno provato a ribellarsi. Il loro gesto però, è stato punito con ulteriori violenze. Un’altra forma di guadagno della mafia nigeriana era l’accattonaggio, con decine di connazionali davanti ai supermercati e centri commerciali costretti a pagare una forma di “pizzo” ai capi dei clan.

Pestaggi, frustate, pugni, calci e bastonate erano riservate invece a coloro che rifiutavano di far parte delle confraternite o non ne rispettavano le regole.

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