Coppa Libertadores, l’ironia di una finale all’ombra della Corona

L’epopea sembra finalmente conclusa: la tanto discussa finale di ritorno della Coppa Libertadores si giocherà il 9 dicembre.

Teatro dell’incontro sarà il Santiago Bernabeu di Madrid, impianto che nella stagione in corso ospiterà anche l’ultimo atto della Champions League: nell’arco di 6 mesi, la capitale spagnola farà dunque da sfondo alla conclusione di entrambi i massimi tornei calcistici continentali.

La decisione, comunicata nella serata di ieri, segna la fine di una paradossale serie di rinvii: originariamente l’incontro si sarebbe dovuto tenere il 24 novembre al Monumental, fortino del River Plate. I disordini di Buenos Aires, culminati con l’assalto al bus del Boca Juniors perpetrato dai tifosi avversari nel precedente weekend, hanno però portato allo slittamento e alla ricollocazione del match.

Scelta concordata tra i presidenti di Conmebol e federcalcio spagnola, a dispetto delle richieste degli Xeneizes di ricevere l’assegnazione del trofeo a tavolino: un simile precedente si era tenuto a parti invertite negli ottavi di finale del 2015, quando i giocatori dei Milionarios furono aggrediti con dello spray al peperoncino.

Se da un lato la delibera ha scontentato entrambe le tifoserie, è d’altronde inconfutabile che l’alternativa madrilena si prospettava come la strada più ovvia da percorrere tra le possibili candidate: a favore di essa hanno giocato i tanti voli tra le due capitali, la questione linguistica e la presenza di un’ampia comunità argentina nella città spagnola.

Eppure, per quanto logica, tale decisione è velata di una storica ironia: il motivo è sotto gli occhi di tutti, in quanto si cela nel nome stesso della competizione.

Nel 1965, il massimo torneo calcistico del Sudamerica viene allargato alle squadre classificatesi come seconde in ciascuno dei campionati nazionali della Conmebol. Il nome Copa de Campeones, in uso fino ad allora, diviene improvvisamente obsoleto e la scelta ricade sulla denominazione attuale: Coppa Libertadores, in omaggio agli eroi dell’indipendenza dei paesi dell’America Latina.

E destino vuole che la prima finale sudamericana fuori dal continente si giochi proprio nello stadio dei Galacticos: nella reggia dei “Reali”, quelli che giocano con la corona stampata sul petto. Un ciclo centenario che si chiuderà quindi con un simbolico ritorno nella terra dei conquistadores per eccellenza.

Il tutto con buona pace dei “liberatori”, ammesso che questo sia realmente l’ultimo capitolo di una saga surreale.

Ivan Casati

Nasco nel marketing e mi riscopro nel giornalismo, sempre con un unico, grande filo conduttore: la mia passione per lo sport. Il mio sogno è raccontarlo, con la penna e con la voce.

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