Luka doncic, il predestinato atterrato sul pianeta Nba

Nel 1999 il XX Secolo vive gli ultimi scorci della sua parabola, il mondo si prepara ad accogliere il terzo millennio e la fobia del millennium bug aleggia come uno spettro lungo l’ascesa della digitalizzazione. Quando Luka Doncic vede la luce, la mattina del 28 febbraio, Lubiana è la capitale di una Slovenia che può fregiarsi del titolo di stato autonomo da meno di un decennio, in medias res alla disgregazione della ormai Ex Jugoslavia.

Il piccolo Luka è un figlio d’arte con le stigmate del predestinato. Suo papà Sasa, nato nel 1974 a meno di un chilometro dal confine che separa Italia e Slovenia, è una guardia tiratrice che scollina i due metri, ha mani educate ed un eccellente visione periferica, cui si accosta una minuziosa cura per fondamentali di tiro e palleggio. In patria ha vinto due campionati nazionali (2007 e 2008) e collezionato diverse presenze con la selezione slovena. Si è unito in matrimonio con Mirjam Poterbin, mamma di Luka, modella e ballerina annoverata tra le donne più belle della nazione.

Come tanti bambini Doncic a sei anni prende confidenza con più di uno sport. Oltre al basket si cimenta nel calcio e nel judo ma, forse anche per l’influenza del padre, alla fine è il mondo della palla a spicchi a far definitivamente breccia nel suo cuore. Sasa in quel periodo milita nell’Olimpija Lubiana, il figlio incanta col suo talento i campi delle giovanili e il suo nome finisce presto sul taccuino degli scout di mezza Europa. La corsa al cartellino si rivela serrata, ma la società più lesta nell’assicurarsi le prestazioni del fenomeno in erba è il Real Madrid, quando Doncic è poco più che tredicenne.

Bruciare le tappe è parte del suo DNA. A sedici 16, 2 mesi e 2 giorni gioca la prima partita in Liga ACB contro il Malaga, il più giovane di sempre tra i Blancos a esordire nella massima serie, terzo in assoluto nella storia del campionato spagnolo. Meglio di lui solo Ricky Rubio, che debuttò a 14 anni e 11 mesi con la maglia del Badalona, e Angel Rebolo, meteora del baloncesto iberico che calcò il parquet a appena quindicenne tra le file del Breogàn.

Le doti di Luka Doncic e la sua versatilità sui 28 metri paiono evidenti fin da principio. Il ragazzo ha ereditato il fisico del papà, teoricamente sarebbe un playmaker, ma ha parecchi punti nelle mani, tanto che pure il ruolo di guardia gli calza a pennello come un abito ben ricamato. Pablo Laso lo osserva muoversi in allenamento, percepisce la regalità delle sue movenze e non esita a concedergli uno spazio crescente nelle rotazioni delle merengues. Il Real è una corazzata studiata e assemblata negli anni: nell’arco di due stagioni mette in cascina altrettanti titoli nazionali, ma l’obiettivo primario rimane quello di sedere al più presto sul trono del vecchio continente. Il primo arrembaggio all’Eurolega si spegne però nel 2017 nel teatro delle Final Four di Istanbul, con l’elezione di Luka a miglior giovane della manifestazione a rappresentare un magro premio di consolazione.

Il tempo sa essere galantuomo nel tracciare il percorso di un talento appena diciottenne. La prima gioia in campo internazionale, Luka Doncic non la vive con la maglia del Real Madrid, ma con quella della Slovenia: agli Europei del 2017 lui e Goran Dragic conducono la selezione di Trifunovic ad un trionfo europeo che profuma di storia, al termine di una finale in salsa balcanica vinta contro la Serbia di Bogdan Bogdanovic. Sulle ali dell’entusiasmo, nella stagione seguente col Real non solo Doncic conquista il terzo titolo di consecutivo, ma si prende lo scettro e la corona anche in Eurolega, rivelandosi la stella più luminosa di un collettivo che vanta gioielli come Sergio Llull, Rudy Fernandez e Sergio “El Chacho” Rodriguez. Il successo di squadra nella finalissima col Fenerbache si mescola a quello individuale; bissa il riconoscimento come miglior giovane della rassegna e viene nominato MVP delle Final Four 2018 (il più giovane di sempre a riuscirci).

Gli occhi del mondo addosso, le sirene della NBA ormai spiegate irrompono nella vita di Doncic, sebbene dall’altro lato dell’Atlantico non sembrino aver capito granché delle doti del nativo di Lubiana. I numeri collezionati in Europa parlano chiaro, ma dagli States pervengono dubbi sulla tenuta atletica del ragazzo, fattore determinante di una lega in cui l’esplosività e la forza muscolare recitano un ruolo sempre più rilevante. C’è poi quel 30% nel tiro da tre punti collezionato durante le ultime due annate di Liga ACB, percentuale bassa che potrebbe etichettarlo come tiratore da mid-range. In altre parole, non il classico bianco europeo affidabile dall’arco dei 6.75, ma giocatore più incline al palleggio, arresto e tiro dai 5/6 metri, una conclusione che nella NBA moderna va trovando sempre meno spazio.

Al Draft 2018 Luka Doncic viene chiamato “solo” con la terza scelta assoluta dagli Atlanta Hawks, per poi venire ceduto ai Dallas Mavericks in cambio della quinta chiamata, Trae Young e una futura prima scelta alla lotteria del 2019. Luka si accasa quindi alla corte di Rick Carlisle, che fin dalle prime uscite di stagione regolare non esita nell’affidargli un ruolo chiave nelle gerarchie dei Mavs. Mentre Nowitzki vive il canto del cigno della sua carriera, ecco che un altro europeo si prepara a raccoglierne il testimone come uomo simbolo della franchigia texana.

Il resto è storia recente, talmente recente che a malapena abbiamo cominciato a viverla. Dopo aver lasciato un segno indelebile in Europa da diciottenne, Luka Doncic spiazza il mondo NBA a nemmeno vent’anni, esprimendosi sul parquet con una disarmante sicurezza del veterano. Possessi pesanti, canestri a fil di sirena, nessuna paura delle responsabilità, il fenomeno col 7 sulle spalle guida i Mavericks a testa alta agli albori di una carriera che già parla da sé. La doppia nomina a rookie del mese è ampiamente giustificata dalle semplici statistiche: al momento parliamo di 19,4 punti, 6,7 rimbalzi e 4,9 assist a partita, il tutto tirando col 37,2% da 3 e con il 43,1% complessivo.

Numeri che in America fanno stropicciare gli occhi, tanto che le quotazioni per vedere il  “Matador” (così chiamano Luka Doncic in quel di Dallas) convocato per prossimo All star game vivono una crescita costante. Insomma, playmaker, guardia o ala piccola che sia, negli Stati Uniti è atterrata una stella, dovevano solo metterci un pochino a capirlo.

Mauro Manca

Appassionato di sport e cinema. Scrivo per esigenza e credo in un'informazione libera e leale, amo raccontare storie che intrecciano il tessuto sportivo a quello sociale e politico.

No Comments Yet

Leave a Reply