Dei giornali e del giornalismo: intervista a Mario Calabresi

«Devi immergerti nel pozzo per raccontare cosa vuol dire essere bagnato» spiega Mario Calabresi al Master in Giornalismo Iulm. Riassume così la sua idea di giornalismo e non esiste forse formula migliore per rendere l’idea di questo mestiere. Di pozzi, lui, ne ha visti e raccontati tanti: anni da cronista parlamentare per ANSA dopo un’esperienza da stagista a dir poco rocambolesca, nella redazione di Repubblica dal 1999 e poi inviato speciale per La Stampa con il difficile compito di raccontare gli attentati dell’11 settembre 2001. Nel 2002 torna a Repubblica come caporedattore centrale e dal 2007 torna negli Stati Uniti come corrispondente per raccontare le elezioni presidenziali del 2008.

«Ho seguito ogni tappa delle presidenziali e ho deciso di visitare la sede dei giornali locali di ogni città che visitavo. – ha raccontato a proposito – Chiedevo di poter lavorare in quelle redazioni e lì ho visto il futuro sui temi delle tecnologie. La carta era già un accessorio. Qui ci sono ammortizzatori sociali per evitare che certe strutture cadano definitivamente, ma secondo me sarebbe più giusto investire su cose nuove invece che spendere denaro ed energie nel mantenere in vita prodotti ormai scaduti». Dopo il viaggio negli Stati Uniti, torna a La Stampa come direttore nel 2009. Per la sua prima riunione, porta in redazione l’ultima copia di un giornale storico di Denver che aveva chiuso appena la settimana prima. « Vendeva lo stesso numero di copie de La Stampa ed era di 5 anni più giovane. Pensavo fosse un dato sul quale riflettere, ho cercato di spiegare che dovevamo investire sulla tecnologia e che in Italia avevamo un accesso a internet vasto, anche se ormai parliamo di 10 anni fa e in realtà non avevamo ancora tutta la disponibilità di rete possibile». A questo segue il racconto entusiasta su come abbia dato il via a quella che per i tempi era una radicale trasformazione delle strutture redazionali. «Online e cartaceo si parlavano soltanto al telefono. Da una redazione all’altra c’erano due minuti di distanza a piedi. Per una notizia, è un tragitto decisamente troppo lungo. Per non parlare dei sistemi editoriali diversi che rendevano i processi ancora più farraginosi. Abbiamo trasferito entrambe le redazioni in un grande open space e abbiamo inserito i caporedattori del sito e del quotidiano al centro della stanza, vicini tra loro. Lanciare una notizia è diventato come tirare un sasso in acqua, con tutti i cerchi concentrici che ne derivano». Uno sguardo entusiasta al passato, ma poi torna a contemplare serio il futuro: « allora era un approccio all’avanguardia, oggi sarebbe sicuramente antiquato».

Mario Calabresi
Gli anni a Repubblica

Quella con la redazione di Repubblica è una storia d’amore che ci tiene a raccontare senza sedersi per un’intera ora. Il suo lavoro da direttore si è sviluppato molto sulle piattaforme digitali (Google e Facebook). Nel tentativo di costruire questo tipo di giornalismo, si è accorto di una cosa importante per una testata. «Si stava sgretolando il concetto di appartenenza: il lettore non voleva più comprare il quotidiano fisico, solo una fascia di pubblico più adulta era ancora legata al brand che stava acquistando. Il tutto ha iniziato a svolgersi online e con i tempi di Google, il lettore aveva iniziato a voler leggere solo le anteprime di cinque righe. Dovevamo inventare un sistema per fare in modo di aprire tramite motori di ricerca un articolo nel più breve tempo possibile. Con altri grandi quotidiani di tutto il mondo abbiamo chiesto a Google un accordo: noi rendiamo disponibile il nostro lavoro, ma voi rendete visibile il nome del nostro brand e togliete le anteprime. Inoltre, la coerenza del mio prodotto editoriale deve essere tutelata: ti sto affidando il mio lavoro, ma il tutto deve essere impacchettato come dico io». L’alternativa? Muoversi in massa contro Google. Avrebbe potuto rivelarsi una carneficina vista la grandezza dell’interlocutore, ma incredibilmente la mossa ha avuto il successo sperato. «Nel mio discorso a New York, ho paragonato le testate ai grandi ristoranti storici e di lusso. Per sopravvivere devono inventare nuove sedi e prodotti fruibili per i più giovani. Il risotto che voglio destinare a un nuovo pubblico però voglio cucinarlo con le mie mani, Google deve solo portarlo in tavola. Questo passo per la valorizzazione non è bastato». 

Il giornalismo la mattina dopo

Cosa pensa del giornalismo attuale? Un centro commerciale che ha un posto per qualche nuova leva, ma che sta facendo i conti con Amazon. E sarà l’Amazon dell’informazione a incanalare il resto degli aspiranti professionisti. «Sono stato in giro per il mondo a studiare come sarà il futuro. Per adesso ho capito una cosa forse ovvia per i più giovani, ossia che il giornalismo è tanto disintermediato. I più anziani sono legati alla vecchia gerarchia delle notizie e alla tradizione. C’è una sovrapposizione tra chi va in chiesa e chi va ancora in edicola: vai a comprare il giornale come se andassi ad ascoltare la messa della domenica. E’ un modo di vivere, ma non posso basarmi su questo modello per vincere. E’ l’informazione a cercare i lettori ormai, non il contrario, perché le cose cambiano velocemente. Un tempo i giornali si basavano sul fiuto, adesso sui dati».

Sul divario di investimenti tra online e carta, Calabresi ha le idee molto chiare. « Ricordo che da direttore di Repubblica decisi di entrare nella redazione del sito poco prima delle 8.00 di mattina. C’era una sola persona a gestire il flusso delle notizie per un milione di persone che si connettono in quella fascia oraria. Per la realizzazione di un quotidiano che invece esce la sera e raggiunge molto meno pubblico, in redazione ci sono trecentocinquanta persone. Così ho deciso che a quel milione di lettori bisognava dare qualcosa in più e con un’attività costante abbiamo aggiunto pubblico a quello che già avevamo, segnando in 3 mesi una distanza dalle altre grandi testate del 48%. Gli editori però si formalizzavano sulle 1000 copie perse in edicola».

Quando gli si chiede del suo futuro professionale, non lascia neppure il tempo di finire la domanda. «Sto facendo un esperimento sui social. Nessuno va a fare le foto con un fotografo per un post facebook. Io ci sto provando e i riscontri sono positivi. Ora vorrei dare vita a  rubrica su Instagram TV per raccontare cosa sarà il giornalismo in futuro. Non so esattamente cosa funzioni e cosa no, quale sia la chiave per rendere internet remunerativo. Mi dicevano che non si possono scrivere post da 40 righe, ma la mia esperienza mi dimostra invece che per farli leggere basta siano fatti bene».

Di una cosa però è sicuro: su carta si deve parlare sempre meno del tempo reale e le notizie vanno rielaborate. Le breaking news, quindi, non sarebbero in grado di reggere nessun modello di business. «In questo momento e nei prossimi anni, credo che sia e sarà fondamentale dare più importanza alle conseguenze che ai perché».

 

 

 

 

Gabriella Mazzeo

24 anni, giornalista praticante. Attualmente scrivo per MasterX, prossimamente scriverò per qualsiasi testata troverete in edicola. Per ora intaso il vostro internet, fra diversi anni forse anche le vostre tv. Nel dubbio, teniamoci in contatto

No Comments Yet

Leave a Reply