Gaza, liberati i tre carabinieri che si erano rifugiati dentro la sede Onu

Liberi di lasciare la sede Onu di Gaza e pronti a tornare in servizio a Gerusalemme. Si è conclusa così la due giorni dei tre carabinieri italiani sospettati di essere “forze speciali israeliane sotto mentite spoglie” e costretti perciò a rifugiarsi dentro la sede Onu di Gaza City nella notte di lunedì.

La vicenda, secondo le prime ricostruzioni, è nata nel momento in cui i tre militari, a bordo di un’auto, avrebbero forzato un posto di blocco finendo così inseguiti dalle forze paramilitari di Hamas, il movimento palestinese che controlla Gaza classificato come gruppo terrorista dall’Unione Europea.

Secondo Hamas sarebbe così nato un inseguimento tra auto con colpi di kalashnikov sparati sulla Toyota blindata dei tre italiani che sono comunque riusciti a trovare rifugio alla sede Onu di Gaza City. Le forze armate palestinesi avevano quindi circondato la palazzina chiedendo la consegna del “veicolo sospetto” e informazioni su quei tre misteriosi uomini.

A quel punto la situazione, divenuta piuttosto calda, è stata presa in mano da Fabio Sokolowicz, il console italiano a Gerusalemme, che dopo ore di spiegazioni e mediazioni con il ministero degli Interni di Hamas è riuscito a chiarire che i tre sono effettivamente militari italiani coperti da immunità diplomatica. A quel punto Hamas avrebbe dato il via libera ai tre di lasciare la sede Onu per rientrare a Gerusalemme nella mattinata di oggi.

A Gaza è allerta da quando a novembre un commando di 15 agenti segreti israeliani era entrato in incognito nella striscia per installare apparati di sorveglianza sulle linee telefoniche della struttura militare di Hamas finendo, però, scoperti. Nel conflitto a fuoco che si era verificato erano rimasti uccisi un colonnello israeliano, un alto ufficiale di Hamas e sei miliziani del movimento.

Niccolò Bellugi

Senese, laureato in Scienze Politiche. Da toscano capita che aspiri qualche consonante, ma sulla "c" ci tengo particolarmente: Niccolò, non Nicolò. La mia è una sfida: mascherare il mio dialetto originario per poter lavorare in televisione o radio. Magari parlando di Sport. Ma tutto sommato va bene anche un giornale, lì non ho cadenze di cui preoccuparmi.

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