Corea del Nord, un rapporto svela 318 siti per le esecuzioni pubbliche

Almeno 318 luoghi adibiti alle esecuzioni pubbliche sono stati individuati su tutto il territorio della Corea del Nord. A queste occasioni spesso sono costrette ad assistere migliaia di persone, tra cui i familiari delle vittime e i bambini. La denuncia arriva da Transitional Justice Working Group, una ong sudcoreana attiva nella protezione dei diritti umani.

Lo studio, frutto di quattro anni di lavoro, si basa su interviste effettuate a 610 disertori nordcoreani. Le esecuzioni avvenivano spesso nei pressi di luoghi di raccolta, come mercati, scuole e strutture sportive, oppure nei campi di rieducazione. Lo scopo era quello di far passare il messaggio al maggior numero possibile di persone. Prima delle uccisioni avveniva normalmente un breve processo farsa, ma sono stati segnalati anche casi di esecuzioni sommarie multiple. La polizia sequestrava generalmente i cellulari, cercandoli anche con metal-detector, per impedire la registrazione di video e la conseguente fuga di notizie verso l’estero.

I reati più comuni per la pena di morte, come si legge nel report, sono l’omicidio e il tentato omicidio, il furto di qualsiasi tipo di bene di proprietà ma anche reati politici, che includono la visione di un qualsiasi programma televisivo trasmesso dalle reti della Corea del Sud. I corpi delle vittime di esecuzione non vengono quasi mai restituiti alle famiglie, ma seppelliti in luoghi che non vengono mai rivelati.

Arriva anche la notizia, riportata dal Wall Street Journal, secondo cui il fratellastro di Kim Jong-un, ucciso il 13 febbraio 2017 in Malesia con il gas nervino, sarebbe stato un informatore della Cia. L’uomo, due giorni prima di morire all’aeroporto di Kuala Lumpur, aveva incontrato sull’isola di Langkawi un americano di origine coreana, secondo le indagini della polizia.

L’ipotesi che quell’uomo fosse il suo contatto con l’agenzia di intelligence americana era già circolata pochi giorni dopo il delitto, ma ora viene rilanciata con forza dal Wall Street Journal e in un libro scritto da una giornalista del Washington Post. Di certo c’è che l’ordine di uccidere Kim Jong-nam, se davvero sono stati i servizi segreti nordcoreani, è arrivato direttamente dal dittatore. Nessuno infatti avrebbe altrimenti osato colpire un membro della famiglia di Kim.

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