Giappone, caccia alle balene proibizionisti vs nazionalisti

Tra le attività più antiche al mondo, la caccia commerciale alle balene sopravvive ancora in alcuni pochi Paesi. Sopravvive. Perché in Giappone, il più osteggiato tra i Paesi balenieri, il consumo di carne è spaventosamente irrisorio. Dagli anni Settanta al 2016, si è passati da 200 mila ad appena 5 mila tonnellate all’anno. Con un un’ulteriore riduzione, 3 mila tonnellate, nel 2018. Dati che cozzano con la scelta del Governo nipponico di abbandonare la Commissione Internazionale Baleniera (Iwc) per riprendere ufficialmente la caccia ai grandi cetacei a partire dal primo luglio.

“Proibizionisti” versus nazionalisti

Davanti alle proteste – dentro e fuori il Paese – sia degli ambientalisti che dei “proibizionisti”, così vengono chiamati in Giappone coloro che sono contrari alla caccia alle balene, e al continuo calo della domanda, ci si chiede perché il Giappone non voglia rinunciare a questa pratica. Motivo di vanto, tra i più anziani, i conservatori e i nazionalisti di estrema destra che hanno sposato la causa dei cacciatori facendone una questione ideologica e identitaria che non ha nulla a che fare con le ragioni economiche. Il settore della baleneria commerciale, un tempo florido, resiste grazie al sostegno del Governo, che in tutti questi anni, dal 1987 a oggi, ha fornito alla flotta nipponica i soldi necessari per solcare il mare e spingersi fino in Antartico con la scusa della «ricerca scientifica».

Che a Tokyo i ristoranti noti per specialità a base di carne di balena si siano più che dimezzati e che i giovani non la mangino o che non abbiano mai neppure provato ad assaggiarla non interessa a chi è convinto che la polemica sulla caccia commerciale alle balene sia piuttosto una questione di differenza di vedute, tra Occidente e Oriente. Cacciare le balene è parte della cultura del Giappone. Un Paese diviso tra tradizioni radicate e una lunga influenza dell’Ovest che spaventa le vecchie generazioni. Per questo la lotta sulla caccia commerciale alle balene va oltre il rischio che la ripresa dell’attività possa avere conseguenze negative sull’ecosistema marino.

Qui, sono due gli aspetti di cui sembrano essere ignari gli “occidentali”:  il primo non è vero che il Giappone caccia esemplari a rischio di estinzione, il secondo è che i giapponesi venerano le balene. Masayuki Komatsu, ex capo negoziatore del Giappone nell’Iwc, e oggi direttore del centro studi per la sostenibilità della pesca, è netto: «l’Occidente deva farla finita di imporre i suoi valori: finché si tratta di diritti umani, libertà civili, e cose del genere io personalmente posso anche condividerli. Ma il mio menù, quello che mangio a casa mia, vorrei deciderlo io». Per Komatsu vale il detto «Paese che vai, usanza che trovi».  Usanze che, ai suoi occhi, andrebbero rispettate.

 

Dare la caccia alle balene è motivo di orgoglio nazionale

Dopo l’annuncio del Governo di voler uscire dall’Iwc, la radio TBS ha pubblicato uno studio su quanti in Giappone fossero ancora interessati alla carne di balena. Mentre il 33% degli intervistati ha detto di non esserlo, il 67% si è dichiarato disponibile a mangiare carne di balena, ma solo se offerta. In questi anni il Governo, per sponsorizzare il prodotto, ha autorizzato in tutto il Paese dei Festival dove la carne di balena viene distribuita gratuitamente. La popolazione è divisa. E lo è proprio tra giovani e anziani, gli unici ancora favorevoli alla baleneria commerciale. Molti di loro raccontano di essere cresciuti mangiando carne di balena, un tempo servita persino nelle mense scolastiche.

Ma c’è un altro dato curioso. Negli ultimi quarant’anni sono cambiate le abitudini alimentari dei giapponesi. Più carne e meno pesce tra i menù di ristoranti, locali tipici e nella lista della spesa delle famiglie. E a crescere è stato il consumo di carne di cavallo. Un alimento che solo pochi anni fa era di nicchia. Con prezzi più alti rispetto ad altre carni, nonostante il consumo irrisorio, quella di balena è diventata il simbolo di un orgoglio nazionale che, sebbene suoni anacronistico, è stato intercettato da una parte della politica.

Ma quanto sta succedendo in Giappone non è poi così diverso da ciò che i norvegesi, gli islandesi e sulle isole Faroe, i danesi, sono pronti a difendere. Per proseguire con una pratica millenaria, che continua a dividere.

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