Cinque anni dopo l’attentato: «nous sommes toujours Charlie»

Sono passati 5 anni dal 7 gennaio 2015, il giorno dell’attentato jihadista alla redazione del periodico satirico francese Charlie Hebdo. L’attacco diede il via ad una lunga stagione di terrore avviando un’escalation drammatica che durò per tutto il 2015, anno nero per la Francia. Alla strage in redazione seguirono infatti l’assalto al supermercato Hyper Cacher a Porte de Vincennes nell’est di Parigi il 9 gennaio, dove persero la vita 4 persone, l’accoltellamento di 3 militari a Nizza il 3 febbraio e le molteplici esplosioni e sparatorie del 13 novembre che, contemporaneamente scossero Parigi e il mondo intero. In quel caso le vittime furono 130 con la strage più sanguinosa che si consumò al teatro Bataclan, dove rimasero uccise 90 persone. A quegli attacchi, ne seguirono molti altri di minore entità.

L’attentato in redazione

Erano le 11.30 del 7 gennaio 2015 quando due uomini, armati di AK-47, fecero irruzione nella sede parigina di Charlie Hebdo. Entrati negli uffici del giornale, presero in ostaggio la disegnatrice Corinne Rey, poi rilasciata, e presentandosi come affiliati di Al-Qaeda, la obbligarono a mettere il codice di sicurezza per accedere alla redazione. Una volta dentro, aprirono il fuoco al grido di Allah Akbar contro i dipendenti alle prese con la consueta riunione mattutina, causando dodici vittime. Tra loro morirono firme giornalistiche molto popolari in Francia, come l’allora direttore e vignettista Stèphane Charbonnier e Georges Wolinksi.

Fuggiti a bordo di una Citroen C3 nera dopo aver ucciso il poliziotto responsabile della sicurezza di Charlie Hebdo, i due attentatori continuarono a spargere terrore per la città, uccidendo un agente che tentava di fermarli e rubando un veicolo a un civile.
La loro fuga continuò per tutto il giorno seguente, con l’Interpol che intanto setacciava e batteva le campagne e le aree boschive.

I terroristi, i fratelli franco-algerini Said e Cherif Kouachi, vennero uccisi la mattina del 9 gennaio in seguito ad un inseguimento con la polizia terminato in una tipografia a Dammartin-en-Goële. L’attentato a Charlie Hebdo, rivendicato da Al-Qaeda aveva un movente ben preciso: le vignette satiriche su Maometto del giornale.

Charlie hebdo: una satira sfrontata in difesa della libertà d’espressione

Charlie Hebdo è un periodico satirico francese a cadenza settimanale. La sua natura molto controversa e irriverente ha da sempre diviso l’opinione pubblica. Vignette sfrontate e articoli dissacranti che hanno cavalcato le polemiche negli anni con un’azione critica in difesa delle libertà civili  e un’ espressione libera, talvolta anche fuori dagli schemi.

L’attentato del 2015 non è il primo attacco sferrato alla redazione. Nella notte tra l’ 1 e il 2 novembre del 2011, la sede del giornale venne distrutta in seguito al lancio di diverse bombe Molotov, appena prima l’uscita del numero dedicato alla vittoria nelle elezioni in Tunisia del partito fondamentalista islamico.
La copertina ritraeva Maometto che diceva «100 frustate se non muori dalle risate» e il titolo fu cambiato in Charia Hebdo, giocando con la parola Sharia e il nome del giornale.

La controversa copertina di Charlie Hebdo sull’Islam

Sono tante le vignette che hanno fatto discutere negli anni come quella in seguito all’incendio di Notre Dame o quella riguardante il terremoto di Amatrice che provocò reazioni molto dure in Italia.

La copertina di Charlie Hebdo dopo l’incendio a Notre Dame e a fianco la vignettadopo il terremoto ad Amatrice

 

Une minute quarante-neuf secondes

109 gli interminabili secondi serviti ai due attentatori, i fratelli Kouachi, che chiusero l’attacco con una fuga accompagnata da altre grida: «Abbiamo vendicato il profeta Maometto! Abbiamo ucciso Charlie Hebdo!»

Dopo l’uccisione di Charbonnier, detto Charb, morto tra fogli e matite mentre discuteva con i suoi collaboratori, è diventato direttore Laurent Sourisseau, in arte Riss, il designatore ferito al braccio.

Une minute quarante-neuf secondes è il libro pubblicato da Riss nel quale ha ripercorso passo dopo passo la tragedia di quella mattina.
L’autore fumettista, nell’intervista rilasciata alla corrispondente di Repubblica, rivela un’anima profondamente colpita e indebolita. Dalle sue risposte risulta palpabile la ferita profonda e tutt’ora sanguinante che pulsa. Oggi in modo particolare.

Un uomo che afferma di aver paura di prendere la metropolitana e che gira solo con guardie del corpo. Un uomo che sa di aver perso il candore e che probabilmente non sarà più in grado di girare da solo.
Ma Riss, oltre ad essere triste e spaventato, mostra anche una certa rabbia nelle sue parole. Dichiara che l’attentato a Charlie Hebdo è stato un’esecuzione politica e che in pochi hanno capito lo slogan diventato immediatamente famoso dopo l’attentato Je Suis Charlie. Molti infatti si sono accorti di voler sostenere la testata solo come vittime del territorio, non come giornale.

«Quando abbiamo cominciato a denunciare l’islamismo non siamo stati presi sul serio perché eravamo un giornale satirico, creato da persone marginali. Nel 2007, durante il processo contro di noi per la pubblicazione delle caricature su Maometto, molti dissero che si trattava di una banale disputa per delle vignette. Solo dopo l’attentato, è diventato chiaro che la questione era ben più grave e profonda», le parole di Riss.

Ma Charlie resterà Charlie e non ci sarà mai alcun tipo di cambiamento alle schiette provocazioni che sono soliti realizzare.
Il settimanale non è fatto per milioni di persone ma solo per quelle decine di migliaia che lo comprendono e lo apprezzano.

7 milioni sono state le copie vendute del primo numero del giornale dopo quel tragico 7 gennaio 2015. Oggi il clima è sì un altro ma il bilancio del direttore non è positivo. Riss infatti afferma che se oggi pubblicassero di nuovo quelle caricature sarebbero di nuovo soli. La tragedia non ha creato eroi.

11 gennaio 2015: la più grande manifestazione della storia di Francia

L’11 Gennaio 2015 a Parigi si è tenuta la marcia repubblicana, una grande manifestazione a favore della liberà di espressione dopo gli attacchi terroristici avvenuti nei giorni precedenti.
40 i capi di stato e di governo partecipanti, provenienti da ogni angolo del mondo, tra cui Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele, il presidente palestinese Abu Mazen, l’allora presidente americano Barack Obama, il russo Vladimir Putin, la Cancelliera tedesca Angela Merkel e Matteo Renzi, al tempo Presidente del Consiglio Italiano.

Anche il leader del partito sciita Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah ha condannato l’evento definendo gli attentatori takfir (apostati).
Egli sostenne che i fratelli avessero insultato l’islam anche più di quelli che avevano direttamente attaccato Maometto, il messaggero di Dio, con le loro rappresentazioni satiriche.

Alla manifestazione non ha, però, preso parte nessun rappresentante del governo marocchino dal momento che durante il momento di commemorazione alcuni manifestanti hanno mostrato immagini ritenute irrispettose della morale islamica.

Ma alla manifestazione hanno partecipato più di 2 milioni di persone, per quella che senza dubbio è stata la più grande manifestazione nella storia di Francia.

Je suis Charlie

Joachim Roncin, giornalista di musica francese per la rivista Stylist, ha creato l’immagine con la scritta Je Suis Charlie condividendola su Twitter poco meno di un’ora dopo l’attentato.

Logo realizzato da Joachim Roncin

#JeSuisCharlie è diventato immediatamente virale su Instagram e Twitter (fu usato più di 5 milioni di volte) ed è esploso come messaggio di solidarietà e difesa della libertà. Tanti sono stati anche gli avatar e le foto ritoccate con la bandiera francese come sfondo.

La direzione della rivista Charlie Hebdo era a pochissima distanza dalla sua abitazione e ha dichiarato di aver scelto come carattere del logo quello di una famosa serie di libri per bambini Où è Charlie? (“Dov’è Charlie?”). L’immagine, ha dichiarato Roncin, era stata creata soltanto per esprimere un sentimento personale di paura.

«Ho creato questo logo perché ero a corto di parole».

Tanti sono stati i tentativi di lucro sull’invenzione del logo dato il successo che ha riscontrato nel mondo, riproposto in tutte le lingue. Questo ha dato molto fastidio a Roncin che ha deciso di proteggere lo slogan attraverso leggi di copyright.

Da Hara-Kiri a Charlie Hebdo

Charlie Hebdo è nato nel 1960 come mensile e il suo nome iniziale era Hara-Kiri, il periodico era definito dai creatori «bête et méchant» (stupido e cattivo). Il giornale satirico subì la sospensione giudiziaria nel ‘61 e nel ‘66.

Il passaggio da mensile a settimanale avvenne nel febbraio del 1969 con il nome di Hara-Kiri-Hebdo, cambiato poi in L’Hebdo Hara-Kiri nel maggio ’69.

Nel 1970, quando morì il generale Charles de Gaulle nella sua residenza privata a Colombey, L’Hebdo titolò in copertina «Bal tragique à Colombey – un mort» (Tragico ballo a Colombey – un morto), riferendosi all’incendio avvenuto in una sala da ballo qualche giorno prima che aveva provocato la morte di 146 persone. La produzione del settimanale venne successivamente bloccata ma la redazione riuscì a raggirare la censura cambiando il nome in Charlie Hebdo.

Il nuovo titolo derivava dal mensile Charlie, che Bernier, uno dei fondatori e Delfil de Ton, suo fedele collaboratore, avevano lanciato nel 1968. Nel 1981 a causa della diminuzione dei lettori le pubblicazioni cessarono. Undici anni dopo, un giornale dal nome Charlie Hebdo riprese le pubblicazioni. Alcuni reduci di Hara-Kiri, in collaborazione con dei giovani talentuosi disegnatori, iniziarono a perseguire il progetto di creare un loro proprio settimanale.

Davanti alle difficoltà in cui si erano impelagati sollecitarono la collaborazione di alcuni dei vecchi fedeli quali Delfil de Ton e Wolinski, che accettarono senza esitazione.

Il settimanale fu presentato come la ricomparsa del predecessore. Del primo numero vennero vendute 100.000 copie. Ci fu anche chi tentò di riportare in auge Hara-kiri ma con scarso successo.

 

Nicolo Rubeis

Giornalista praticante con una forte passione per la politica, soprattutto se estera, per lo sport e per l'innovazione. Le sfide che attendono la nostra professione sono ardue ma la grande rivoluzione digitale ci impone riflessioni più ampie. Senza mai perdere di vista la qualità della scrittura e delle fonti.

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