Il crac della Banca Popolare di Vicenza

Patrimoni dissolti in un amen, risparmi di una vita polverizzati all’istante, senza neanche la possibilità di correre ai ripari prima che tutto implodesse. Un destino che ha accomunato tanti dei 118mila imprenditori e risparmiatori che riempivano le assemblee annuali dei soci della Banca Popolare di Vicenza. Il valore delle loro azioni si è frantumato sotto il peso di prezzi gonfiati, scambi di favori e operazioni finanziarie ai limiti della legge dette “baciate”. Un sistema, permesso da una vigilanza inefficiente, che ha portato al crac della banca gestita per diciannove anni da Gianni Zonin. Da 62,50 euro per azione a 10 centesimi. Era un castello di carte. E il vento della crisi economica l’ha fatto crollare.

La popolare di Vicenza, così come altri istituti veneti, si trova in una zona ricca, dove gli imprenditori fanno grande affidamento al prestito bancario per sostenere i loro investimenti. In regime di concorrenza, le banche locali attuano una politica di credito ribassista: per tutti gli anni Duemila, in Veneto, e in particolare nelle popolari, il denaro ha un costo inferiore rispetto al resto d’Italia.

La vera fonte di guadagno sono gli investimenti in titoli di Stato, che, anche dopo l’inizio della crisi, hanno una resa maggiore rispetto agli interessi sui crediti. Così la popolare di Zonin può permettersi di attuare una politica di prestiti a tassi molto bassi, e quindi poco profittevoli, per allargare la propria influenza territoriale e per aiutare gli amici del consiglio di amministrazione. Con questi nasce il meccanismo delle operazioni baciate, che prevede l’elargizione di un finanziamento molto vantaggioso e il successivo acquisto delle azioni della banca con parte di quello stesso finanziamento. In questo modo, al socio viene garantito un rendimento annuale e nel bilancio dell’istituto appare, come per magia, un aumento di capitale laddove dovrebbe esserci un debito. Che, considerato ora denaro fresco, viene a sua volta reinvestito, in nuovi sportelli e in titoli di Stato.

Nel 2008 la Lehman Brothers sembra sparigliare le carte. Fallendo, la banca d’affari americana innesca la crisi di fiducia nel sistema e la maggior parte degli istituti ordina lo stop a nuovi prestiti. È qui che la popolare di Vicenza fa il passo più lungo della gamba: mentre gli altri bloccano le linee di credito, Zonin ne approfitta per espandere la sua rete di potere e soffiare clienti ai concorrenti. Invece di tirare la cinghia, vengono concessi crediti a un ritmo maggiore. E a tassi sempre più bassi. Tanto i soldi che uscivano rientravano dai rendimenti statali, oppure dalle baciate.

Nel 2013, però, il giocattolo comincia a rompersi. L’onda lunga della crisi economica porta al fallimento diversi imprenditori, i loro debiti con la banca diventano carta straccia e si trasformano nei famigerati crediti deteriorati, o Npl. In più, la Banca centrale europea annuncia per l’anno successivo esami nei bilanci di 130 banche europee, compresa Bpvi. Affinché una banca sia considerata in salute e superi i test, il rapporto tra Npl e patrimonio deve essere il più piccolo possibile. Perciò, per far fronte all’aumentare dei primi, occorre ricapitalizzare anche il secondo. Lo strumento più agile a questo scopo a Vicenza lo conoscevano bene, e rispondeva al nome di operazioni baciate. Da patto privato tra banchieri e grandi investitori, nel biennio 2013-2014 le baciate diventano una prassi consolidata anche con gli imprenditori minori, al punto da costringerli a sottoscrivere l’acquisto di azioni, pena l’annullamento del credito. Ma a quanto devono comprare le azioni? Non essendo quotate in borsa, sono i consigli di amministrazione delle popolari a deciderne il prezzo. Una distorsione che permette a Zonin di tenere fissa a 62,50 euro un’azione che sprofonderà a 10 centesimi.

Nel frattempo, dall’Europa arriva a Vicenza un’altra cattiva notizia: la drastica riduzione degli interessi sui titoli di Stato voluta da Mario Draghi chiude il rubinetto dal quale entrava gran parte del capitale della popolare. Le baciate con i piccoli debitori diventano adesso indispensabili. Ma non tutti, secondo le normative, possono entrare a far parte del giro: i clienti devono essere classificati per fornire loro servizi e prodotti in linea con le loro capacità finanziarie; chi non rispetta gli standard non può sottoscrivere l’acquisto di azioni. A meno che non si decida di falsificare i prospetti: le alterazioni hanno riguardato i profili di 58.000 soci della popolare vicentina. Così l’istituto di Zonin ha potuto vendere a persone che non potevano avere gli strumenti necessari a stimare il valore reale delle azioni che stavano comprando. Né potevano vedere il terreno che si stava sgretolando sotto gli sportelli della banca, e sotto di loro.

Mentre l’istituto vicentino imbarcava nuovi clienti, si moltiplicava a dismisura il numero di debitori in fallimento. Risultato: il bilancio è martoriato dalle passività, nel 2015 la Bce squaderna 1,5 miliardi di crediti baciati e a fine 2016 il valore degli Npl raggiunge i 9,6 miliardi. Il castello è crollato e il ministro Padoan ordina la liquidazione. I buchi vengono coperti dai soldi pubblici e la banca ripulita viene ceduta a un gruppo privato, Intesa San Paolo, per la cifra simbolica di cinquanta centesimi.

In tutto questo, gli ispettori della Banca d’Italia hanno fatto visita alla popolare di Vicenza per ben nove volte tra il 2007 e il 2017, comminando alcune sanzioni amministrative, ma senza far emergere la malagestione dell’istituto in tutta la sua gravità. Una vigilanza pigra che ha abbandonato gli oltre centomila azionisti della popolare al loro destino.

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