Retroscena dal Vanity Fair Stories: il racconto di Malcom Pagani, vicedirettore della rivista

Un festival per celebrare l’arte del racconto. Il Vanity Fair Stories, che ha animato l’Anteo Palazzo del Cinema sabato 24 e domenica 25 novembre, è stato questo e molto altro. Due giorni di talk, workshop e proiezioni totalmente gratuiti, oltre 1200 post pubblicati su Instagram con l’hashtag ufficiale #vanityfairstories e una miriade di ospiti tra registi, attori e attrici, calciatori, personaggi dello showbusiness, cantanti e professionisti della comunicazione. Dietro a tutto questo, la volontà di creare una kermesse in cui gli artisti si raccontassero senza filtri al pubblico, in un format fresco che non contemplasse necessariamente la formula tradizionale del giornalista che fa domande all’invitato. La rassegna, pensata anche per festeggiare i 15 anni del settimanale femminile di Condé Nast, ha riscosso un immediato successo tra i lettori affezionati, ma anche tra i milanesi, da sempre alla ricerca di idee per il weekend. Nonostante la pioggia infatti, le sale dell’Anteo sono state invase dal pubblico, spesso di giovanissimi, che ha fatto salire il Vanity Fair Stories sul podio delle tendenze nel fine settimana dei principali social network in Italia.

«È stata una bellissima esperienza che ci ha fatto tremare prima che si realizzasse, e poi ci ha restituito delle immense gioie», ha dichiarato Malcom Pagani, vicedirettore di Vanity Fair. Nei due giorni del festival infatti il giornalista, insieme alla redazione al completo, ha diretto e seguito gli eventi come un regista minuzioso, cercando di far quadrare ogni singolo tassello del puzzle. MasterX lo ha intercettato in un raro momento di tranquillità, tra un talk con Geppi Cucciari e uno con l’editorialista del Corriere della Sera Massimo Gramellini.

Domanda: Vicedirettore, come è nato Vanity Fair Stories?

Risposta: Beh, tutto ha avuto il via da Condé Nast: il gruppo editoriale aveva deciso di organizzare un festival che non celebrasse unicamente i quindici anni di Vanity Fair, ma che diventasse un momento di aggregazione per ambiti diversi. Quello che mancava nel panorama italiano, pur ricco di rassegne, era infatti una kermesse che raccontasse gli artisti con una liturgia diversa dal solito. E così, ecco Stories. 

D: Dalle sue parole, e dalla resa dell’evento, sembra quasi sia stato un gioco da ragazzi. Come avete fatto, in concreto, a riunire questo nutrito parterre di ospiti, strappandoli ai loro impegni professionali?

R: In realtà, abbiamo scelto una strada analogica, per certi versi. Ci siamo messi al telefono e li abbiamo chiamati uno a uno, chiedendo se volessero prendere parte al nostro progetto. Molte persone hanno accettato per affetto nei confronti del giornale, o per i rapporti che intrattengono con ognuno di noi. Prendiamo Sorrentino, per esempio: ora sta girando, e venire qui per lui era un casino. Però ha girato fino a venerdì, poi sabato mattina ha preso un treno alle 6 per essere a Milano con noi. Sono belle soddisfazioni.

D: Con che criterio avete scelto la platea di artisti che si sono alternati nelle sale del Palazzo del Cinema?

R: Abbiamo cercato di avere una rosa di ospiti il più grande possibile, mantenendo un’anima sia artistica, sia popolare. C’erano Saverio Costanzo e Alba Rohrwacher, ma anche Fiorello e Alessandro Del Piero. Ognuno di loro, ed è questa la cosa di cui sono più orgoglioso e contento a 24 ore da un evento che pensavamo ci avrebbe tolto la pelle e invece è riuscito bene, è riuscito a raccontarsi con generosità al pubblico, trasmettendo qualcosa di personale e veramente sentito.

D: Organizzare un’edizione zero non è mai una passeggiata. Considerando il successo che ha avuto, pensa che Stories avrà un seguito nei prossimi anni?

R: Speriamo e crediamo che questo sia il primo di tanti festival, anche se dopo aver creato un parterre così ampio, sarà difficile l’anno prossimo fare di meglio. Forse dovremmo invitare il Papa (ride, ndr). Scherzi a parte, non è stato facile: tutto questo è stato possibile perché Vanity Fair poggia su una grande struttura quale è Condé Nast. Solo la segreteria di redazione ha lavorato 18 ore al giorno per settimane, facendo un lavoro incredibile; l’azienda, dal canto suo, ci ha dato il massimo supporto economico, necessario per affittare l’Anteo e ridisegnarne gli spazi. Per me, che vengo dai quotidiani e sono abituato a un ambiente dove le ristrettezze sono all’ordine del giorno, è stato straordinario avere tutto questo supporto.

D: Un’ultima domanda. C’è stato qualcosa che non è andato secondo le vostre aspettative? Qualcosa che inserireste nell’elenco delle cose da migliorare?

R: Non è sempre tutto rose e fiori, come è ovvio che sia. Siamo dispiaciuti magari di alcune piccole cose, come il fatto che molte persone sono rimaste fuori dagli incontri. Forse abbiamo sottovalutato la forza degli ospiti che avevamo, rispetto alla grandezza degli spazi. Però ce l’abbiamo messa tutta, tutti quanti: per questo posso dire che, nonostante queste piccole migliorie necessarie, sono molto contento del risultato finale.

Alice Scaglioni

Ho frequentato il Master di Giornalismo IULM. Mi occupo principalmente di economia, tecnologia ed esteri. Scrivo per il Corriere della Sera, redazione Economia, PrimaOnline e D la Repubblica, nella sezione DYoung. Fan di Twitter, dove condivido tutto quello che scrivo (@alliscaglioni)

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