Addio a Camilleri, il genio che creò Montalbano

Articolo a cura di Corinne Corci e Alice Scaglioni

Chiuso nel proprio ufficio, Montalbano si è fatto recapitare un vassoio di cannoli, mangiato in silenzio così da ricordare la passione godereccia di Pasquano, quel dottore tutto «cabbasisi rotti» e dolcetti ripieni. Addio, affetto, ricordo. Fuori dalle finestre del commissariato di Vigata, soffia ancora quel vento caldo e umido che spira dal Mediterraneo, facendosi più flebile lungo i contorni di un’Italia che oggi ricorda uno dei suoi autori più grandi.

Andrea Camilleri non è stato un uomo comune. E lo ha dimostrato numerose volte. Come quando, in piedi rivolto ai genitori di Giulio Regeni durante una puntata di Che tempo che fa del 2017, ha pronunciato il suo discorso nei loro confronti: «Io non ho parole», ha iniziato. Semplicemente. Come al tempo avremmo voluto fare tutti noi; come non è più in grado di fare quasi nessuno di noi. Tranne lui, il golden boy della letteratura italiana. Uomo comune eccezionale. Non solo per lo scrittore che ha dimostrato di saper essere, ma per il contributo che ha portato con le sue parole al di fuori delle pagine, tra la Sicilia e Roma, il fascismo e il teatro, la Rai, i suoi grandi incontri, da Eduardo De Filippo ai numi tutelari della classe intellettuale del ventesimo secolo.

La realtà è che, a dispetto dei suoi 93 anni, Andrea Camilleri è stato l’intellettuale più giovane del nostro tempo. Molto più di tanti suoi colleghi, tanto più vecchi non solo nello spirito (come si è soliti dire), ma soprattutto nella capacità di essere anticonformisti, di dire le cose con semplicità e talento, senza rabbia ma con franchezza e condivisione empatica.

Porto Empedocle non è il centro del mondo, ma la bravura di Andrea Camilleri, che in quel paesino in provincia d’Agrigento nacque il 6 settembre 1925, l’ha reso famoso ovunque, grazie al suo commissario Montalbano. Universalmente riconosciuto e amato, non ha mai perso la sua sicilianità. I suoi testi sono stati tradotti in più di 120 lingue e letti in tutti i paesi del mondo. La lingua siciliana faceva capolino in modo discreto nelle storie, caratterizzando le trame e i personaggi. Lo ha fatto anche negli ultimi due anni quando, ormai cieco, Camilleri dettava le indagini di Montalbano alla sua assistente Valentina Alferj.

Una vita densa d’arte, segnata da una buona stella che lo ha visto diventare regista di teatro, sceneggiatore e autore televisivo sin da giovanissimo, nel 1942. Gli anni della guerra furono i più difficili: dopo essere stato espulso dal collegio vescovile per aver lanciato uova contro un crocifisso, si diplomò al liceo classico “Empedocle” di Agrigento, conseguendo la maturità senza esami a causa dell’imminente sbarco in Sicilia degli Alleati. Nel 1944 si iscrisse alla Facoltà di Lettere e Filosofia, senza però terminare gli studi. Un anno dopo, l’adesione al Partito Comunista Italiano e, parallelamente, l’avvio alla scrittura, con una serie di racconti e poesie che gli permisero di conquistare il Premio Saint Vincent. 

Ma al genio, che fu artista e maestro d’arte (presso il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e l’Accademia nazionale di Arte drammatica, dove ottenne una cattedra di regia) si deve la conoscenza di Samuel Beckett in Italia, con la versione teatrale al Teatro dei Satiri di Roma di Finale di partita nel 1958. Di quest’opera curò poi una trasposizione per il piccolo schermo con Adolfo Celi e Renato Rascel.

L’anno fortunato per l’autore siciliano fu il 1994, con la prima indagine del commissario Montalbano. Prima il romanzo La forma dell’acqua, poi l’anno successivo Il birraio di Preston, che partecipò al Premio Viareggio. Da allora il nome di Andrea Camilleri fu inscindibilmente legato a quello dell’ispettore di Vigata, che divenne incredibilmente celebre anche grazie all’enorme successo della serie televisiva prodotta e trasmessa dalla Rai a partire dal 1999.

Vent’anni di Montalbano, tra romanzi e puntate sul piccolo schermo. Ma Camilleri non ha mai smesso di interessarsi alle sorti dell’Italia. Da sempre attento alla situazione nel proprio Paese, negli ultimi tempi si era lasciato andare a dichiarazioni che tradivano una grande preoccupazione circa la deriva della società e della politica dello Stivale. «Abbiamo ricostruito l’Italia, ora la stiamo risfasciando. Per questa ragione sento di aver fallito come cittadino italiano. E mi pesa molto», aveva detto durante un’intervista rilasciata a Repubblica.

Ma, come il suo amato personaggio interpretato da Luca Zingaretti, Camilleri non avrebbe mai potuto fallire. La sua uscita di scena, da quella storia che ha narrato per venticinque anni, è solo un intervallo. Un modo per lasciare ai posteri il compito di trovare una soluzione. E, così, di continuare l’episodio.

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