Roma, business dei rifiuti. Il Tmb Salario fa discutere

È trascorsa appena una settimana dall’incendio divampato la notte dell’11 dicembre all’interno dell’impianto di trattamento dei rifiuti (Tmb) sulla via Salaria a Roma. Intanto continuano le proteste dei residenti dei quartieri Nuovo Salario, Fidene e Serpentara che da anni denunciano la pericolosità del Tmb e la cattiva gestione dell’Ama, l’azienda municipalizzata a cui è affidato l’impianto. Un episodio che ha riacceso i riflettori sul servizio dei rifiuti capitolino e sulla Giunta di Virginia Raggi che non è ancora riuscita a individuare il sito per una nuova discarica, dopo la chiusura di Malagrotta, ordinata quattro anni fa dall’allora sindaco di centrosinistra Ignazio Marino.

Ma che cos’è un Tmb?

Si tratta di un impianto di trattamento meccanico biologico, la cui attività dal 2013 è diventata obbligatoria. I Tmb servono a trattare e separare i rifiuti indifferenziati (solidi urbani) che a Roma finiscono nei cassonetti neri. L’impianto serve quindi a generare rifiuti da altri rifiuti che possono essere differenziati (vetro, metallo, carta) o che finiscono nei termovalorizzatori, negli inceneritori o nelle discariche. A dimostrare che il Tmb di via Salaria non costituisce un rischio per la salute dei cittadini, l’ultima relazione dell’Ama pubblicata nel 2012.

Il business grazie ai Tmb di Malagrotta

Il problema dei rifiuti è uno dei tanti che da tempo pesano sulla Capitale. Tutto ha inizio con l’inchiesta della Procura di Roma che ha portato all’arresto di Manlio Cerroni, ex proprietario della discarica di Malagrotta e della Colari, Consorzio Lazio Rifiuti. L’azienda, oggi affidata a un commissario, gestisce i due Tmb di Malagrotta, che dovrebbero coprire una parte del fabbisogno della Capitale, insieme a un terzo impianto, gestito dall’Ama a Rocca Cencia. Per anni Cerroni avrebbe truffato il Comune di Roma – coinvolti anche alcuni vertici dell’Ama – chiedendo tariffe maggiorate per il trattamento dei rifiuti nei Tmb, che invece finivano direttamente in discarica. Un’attività a costo zero che gli avrebbe fruttato oltre tre milioni di euro, anche grazie alle proroghe ottenute sull’apertura del sito di Malagrotta, al limite già nel 2009. Una situazione che costringe Roma a inviare i rifiuti in altre Regioni a spese dei cittadini.

Il Tmb come una discarica

Tra tutti gli impianti, quello sulla Salaria si è trasformato in una discarica, a soli 150 metri c’è un asilo nido e una prima abitazione. A denunciarlo il rapporto dell’Arpa Lazio, oltre all’Osservatorio Permanente sul Tmb nato grazie ai comitati dei quartieri interessati (Nuovo Salario, Fidene e Serpentara) e al sostegno del Municipio III. L’impianto non tratta i rifiuti come dovrebbe, ma li sposta, cambiandogli l’etichetta e producendo una grande quantità di scarti, come denuncia l’Arpa. Mal gestito, il Tmb non riesce neppure a riciclare i metalli (solo lo 0,4% contro il 5-7% previsto). All’interno manca una distinzione tra aree di lavorazione e aree di stoccaggio su 2 mila metri quadrati. «L’impianto, che doveva fungere da deposito per l’Ama, è stato aperto nel 2010 con l’ex sindaco Gianni Alemanno. Ad oggi non è ancora chiaro né il come, né il perché», racconta Simonetta Anaclerio dell’Osservatorio. Per questo motivo i tre comitati hanno presentato un’interrogazione sui diritti dei cittadini al Parlamento europeo. Ma i residenti denunciano anche il rischio legato al cavalcavia che passa sopra l’impianto di trattamento dei rifiuti, che in questi anni non sarebbe mai stato sottoposto a controlli, nonostante il limite di traffico inizialmente imposto. «Un cavalcavia – spiega Simonetta – sul quale ogni giorno passano non solo automobili, ma anche molti tir che trasportano i rifiuti nell’impianto». «E c’è il sospetto che molti rifiuti, anche quelli che dovrebbero essere invece inviati negli altri impianti, finiscano invece in quello sulla Salaria», aggiunge. Allarmata racconta che il Tmb era visibilmente al limite, perché non di rado la spazzatura finiva per accumularsi fuori dall’impianto. «Noi paghiamo la differenziata, ma di fatto non si fa», afferma.  Come residente, Simonetta denuncia il rischio concreto per la salute che corrono gli abitanti della zona e le difficoltà di un dialogo costruttivo con le amministrazioni di ogni colore politico per risolvere la questione del Tmb. «Noi cittadini ci stiamo muovendo – insiste – il diritto alla salute non ha nessuna appartenenza politica, non le pare?».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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