L’eredità dell’avvocato Giorgio Ambrosoli a 40 anni dall’omicidio

E’ la sera dell’ 11 luglio 1979. L’avvocato Giorgio Ambrosoli, nominato dalla Banca d’Italia commissario liquidatore della Banca Privata Italiana di Michele Sindona si trova a cena con degli amici. Poco prima di mezzanotte è già di ritorno a casa. Parcheggia l’alfetta in via Morozzo della rocca e dopo essere sceso dall’auto viene raggiunto da un uomo: «Il signor Ambrosoli?». «Sì».«Avvocato mi scusi» e gli spara quattro colpi di P38.

La vittima è un avvocato milanese che ormai da mesi riceve minacce e intimidazioni per aver scovato gravi irregolarità nella banca del finanziere messinese Sindona e un intricato intreccio tra politica, finanza, massoneria (dopo due anni sarebbe stata scoperta la P2) e mafia. Il killer è Joseph William Aricò, che nell’ambiente è noto come “Billy lo Sterminatore”. I mandanti sono Sindona e l’esponente di Cosa Nostra a New York Robert Venetucci.

Alle pressioni e ai tentativi di corruzione Ambrosoli risponde con l’esercizio del dovere e della legalità.  Avrebbe potuto vivere «tranquillo con le sue serene abitudini», scrive Corrado Stajano nel suo Un eroe borghese «e, invece, per la passione dell’onestà si batté contro un genio del male, sorretto da forze potenti, palesi e occulte, e fu sconfitto». Ambrosoli moderato di simpatie monarchiche e fervente cattolico è andato incontro al suo destino senza cedere alle richieste del potere: «È indubbio che in ogni caso pagherò a caro prezzo l’incarico», scrive in una specie di lettera-testamento alla moglie Annalori.

Nel 2010 Giulio Andreotti, intervistato durante la trasmissione Rai “La Storia Siamo Noi” dichiara cinicamente che Ambrosoli «se l’era andata cercando». Per questo durante la commemorazione per la morte di Andreotti nell’aula del Consiglio regionale, il figlio di Ambrosoli, Umberto, decide di uscire. E proprio oggi su Twitter ricorda, come già aveva fatto lo scorso anno, le lezioni di libertà e responsabilità lasciate dal padre.

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