Daniel Callahan, la morte di un pensatore “laico cattolico”

«Quanto tempo devi vivere per vivere una vita dignitosa?». Daniel Callahan, bioeticista e pensatore tra i più provocatori si diede subito una risposta dopo essersi posto la domanda a un congresso nel 2015 ad Harvard. Aveva deciso che 80 anni era il tempo massimo, ma lui ne ha vissuti otto in più prima di essere sconfitto da una broncopneumopatia cronica ostruttiva il 16 luglio all’ospedale di Dobbs Ferry, a New York. Callahan era nato il 19 luglio 1930 a Washington. Figlio di un giornalista radiofonico e di una casalinga, ha frequentato Yale con una borsa di studio per il nuoto e si è laureato in filosofia nel 1952. Prima di sposarsi con Sidney DeShazo, da cui ebbe sette figli (uno morì durante l’infanzia), entrò nel Corpo di controspionaggio dell’esercito, conseguì un master in filosofia a Georgetown e un dottorato in filosofia ad Harvard.

Di origini irlandesi era cresciuto secondo i principi cattolici che lo portarono ad avvicinarsi alla teologia e a pubblicare Commonweal, una rivista cattolica liberale. Ma furono i dubbi che maturò nel corso dei suoi studi a farlo allontanare da una Chiesa troppo chiusa in se stessa, incapace di confrontarsi con i dilemmi della vita di tutti i giorni. Rispettato da liberali e conservatori, fu definito dallo storico Rodger Van Allen “il più influente laico cattolico degli anni ‘60”. Callahan che si era sempre opposto all’aborto si convinse poi a sostenerne i diritti, scontrandosi spesso con la moglie con la quale partorì nel 1984 il libro Abortion: Understanding Differences. Nei suoi 47 volumi si è domandato come la tecnologia biologica avesse influenzato e modificato il nostro modo di pensare e ha evidenziato come persi nell’obiettivo di allungare la vita abbiamo perso la qualità nel viverla. In uno dei suoi più importanti saggi controcorrente, Setting Limits: Medical Goals in an Aging Society, sosteneva di razionare i dollari dell’assistenza sanitaria per gli americani più anziani, considerando la vita umana limitata e la morte, una condizione ineluttabile.

Spaziando tra incertezze morali in medicina, fine vita, terapia intensiva, anticoncezionali, fino alla “finitudine umana” difronte alla promessa-pericolo delle nuove tecnologie ha esortato i colleghi a guardare oltre le questioni bioetiche racchiuse tra diritto e medicina per ampliare lo sguardo su cosa significhi vivere una vita utile. L’Istituto di Società, Etica e Scienze della vita, ribattezzato poi Hasting Center, fondato dal filosofo e dallo psicanalista e vicino di casa Willard Gaylin ha contribuito infatti alla nascita di un nuovo linguaggio dell’etica e delle scienze sociali, che fa oggi di Callahan il più grande pioniere della bioetica.

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