Coppia acido, la Cassazione conferma l’adottabilità del figlio

La corte di Cassazione ha confermato l’adottabilità del bambino nato dalla relazione tra Martina Levato e Alexander Boettcher, noti come la “coppia dell’acido”. I due sono i responsabili delle aggressioni avvenute a Milano nel novembre 2014.

È stato respinto, dunque, il ricorso dei nonni del bambino che si erano proposti di adottarlo. Il bimbo, che adesso ha due anni e mezzo, ha sempre vissuto in una casa famiglia e riceve periodicamente la visita di nonni e genitori. Nonostante il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione Francesca Ceriani avesse chiesto di affidare ai nonni materni il piccolo, la richiesta è stata respinta: «I figli non si tolgono nemmeno ai mafiosi perché ogni bambino ha diritto a crescere nella famiglia dove è nato – aveva detto la Ceriani -. E anche se Alexander Boettcher e Martina Levato sono responsabili di crimini raccapriccianti, dare in adozione il loro figlio equivarrebbe a una non consentita operazione di genetica familiare, come se il piccolo fosse nato con una macchia. I nonni materni sono idonei a crescerlo e ne hanno diritto».

Pochi giorni fa la Cassazione aveva confermato la condanna a 14 anni per Boettcher perché ritenuto «vero architetto dell’aggressione» a Pietro Barbini, ex fidanzato di Martina Levato, avendo avuto anche una «attiva partecipazione alla fase più strettamente esecutiva del delitto». Lei, invece, dovrà scontare una pena di 20 anni.

In merito all’adottabilità del piccolo, invece, i giudici hanno valutato «i gravissimi comportamenti delittuosi dalla Levato che, al momento delle aggressioni era già incinta e consapevole della gravidanza». Sono stati inoltre valutati «i negativi effetti sulla sua capacità genitoriale, escludendo che lei possa garantire al bambino uno sviluppo psicofisico sereno ed equilibrato negli anni più delicati per la sua crescita».

È stato riconosciuto però, che è in atto «un percorso terapeutico che potrebbe condurre Martina Levato in futuro ad una maturazione della propria personalità e ad acquisire le competenze necessarie per sviluppare un rapporto equilibrato con il figlio, ma i tempi di attesa di questa evoluzione non sono compatibili con le pressanti esigenze di un bambino dell’età di suo figlio». (ei)

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